A quindici anni dalla Palma d’Oro per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, Cristian Mungiu continua la sua acuta disamina della società rumena, questa volta guardando direttamente alla contemporaneità.
Animali selvatici vede come protagonista Matthias, un uomo che torna nel suo villaggio natio in Transilvania pochi giorni prima di Natale, dopo aver lasciato il lavoro in Germania. Vorrebbe seguire più da vicino l’educazione del figlio Rudi che, lasciato alle cure della madre Ana, è rimasto in balia delle sue paure infantili, ma è preoccupato anche per l’anziano padre, Otto, e vuole rivedere la sua ex amante, Csilla. Quando alcuni lavoratori stranieri vengono assunti nella fabbrica di Csilla, la pace della comunità è rotta.
La dicitura R.M.N. del titolo originale fa riferimento all’acronimo rumeno della risonanza magnetica a cui viene sottoposto Otto, ma è anche riferimento alla Romania stessa. La storia di Animali Selvatici mette in primo piano l’astio dei locali verso i nuovi arrivati, con l’accusa di aver rubato un lavoro che loro stessi non hanno accettato, così come l’ambiguità delle aziende, che assumono immigrati solo per rispettare le normative europee, dando loro un salario bassissimo. Ma è contradditorio lo stesso protagonista: vuole insegnare ai suoi cari i principi di modernità imparati in Germania e imporre una vita dura, ma mentre vive con la moglie ama un’altra donna e rivendica senza problemi questa scelta. Un quadro che Mungiu fotografa acutamente e lascia esplodere nella sequenza dell’assemblea cittadina, dove in un lungo piano sequenza emergono tutte le posizioni in campo. Una battaglia di idee su argomenti al centro del dibattito contemporaneo (accoglienza, populismo, nazionalismo) che il regista presenta con un chiaro punto di vista, ma senza demonizzare gli altri.
Animali selvatici evidenzia dunque il controllo su messa in scena e sceneggiatura ormai impeccabile, un perfetto bilanciamento tra impegno civile e narrazione. Ci sono piccoli misteri, “buchi” che solo alla fine della storia verranno risolti, lasciando fluire un racconto coinvolgente quanto profondo. Da segnalare infine la prova degli attori, come di consueto volti poco noti agli spettatori occidentali (Marin Grigore, Judith State, Macrina Bârlădeanu) che sanno lavorare di sottrazione, risultando quanto più verosimili.
Luca Sottimano