L’Ultima luna di settembre, opera prima del regista mongolo Amarsaikhan Baljinnyam, è un film che permette di compiere almeno due viaggi: uno geografico, nelle sconfinate steppe della Mongolia rurale, e uno nell’animo dei personaggi, alle prese con la profondità dei legami umani e delle proprie ancestrali radici.
Il protagonista, Tulgaa, è cresciuto in un remoto villaggio di campagna, che ha abbandonato da tempo per lavorare in città. Raggiunto dalla notizia della morte imminente dell’uomo che l’ha allevato pur non essendo suo padre, decide di tornare al villaggio natìo per salutarlo. Dopo la sua morte, mantiene la promessa fattagli e resta al villaggio per portare a termine il lavoro di fienagione, da completare entro l’ultima luna di settembre. Sarà durante il lavoro nei campi che farà la sua comparsa Tuntuulei, ragazzino di dieci anni all’apparenza spavaldo e sfrontato, ma che in realtà nasconde profonde sofferenze, dovute principalmente all’assenza dei suoi genitori e che cerca di esorcizzare raccontando a tutti e a sé stesso una realtà di fantasia. Tra i due nascerà a poco a poco un legame di amicizia sempre più intenso, tanto da assumere i contorni di un rapporto padre-figlio e far vacillare Tulgaa, in vista dell’approssimarsi dell’ultima luna di settembre e del suo previsto rientro in città.
Il tema della profondità dei legami genitoriali, anche in assenza di parentela biologica, è al centro della narrazione: il film si apre con la rivelazione a Tulgaa, da parte della donna da lui amata, dell’attesa di un figlio, per poi concentrarsi sui legami di Tulgaa con il suo patrigno e con il piccolo Tuntuulei. Il regista accende un faro su uno dei problemi più attuali della società mongola, ossia il fenomeno della moltitudine di piccoli “orfani” lasciati nelle campagne dai genitori che vanno a cercare fortuna in città. Sullo sfondo, ma non troppo, il fascino di una società ancestrale fatta di paesaggi sconfinati e immobili, in cui i dispositivi tecnologici non funzionano per assenza di segnale, il tempo scorre lento e la vita si svolge secondo riti che appaiono lontani anni luce dalla modernità. Una società apparentemente antitetica, sul piano esteriore, ai canoni del “nostro” mondo, e che tuttavia rivela l’esistenza di sentimenti e legami profondi e universali, tanto da risultare perfettamente intellegibili anche alla nostra latitudine.
Il film è stato presentato in anteprima al Vancouver International Film Festival, nell’ottobre 2022, ed ha partecipato al Festival del Cinema africano, d’Asia e di America latina di Milano nel marzo 2023, aggiudicandosi, in entrambi i casi, il Premio del pubblico. A Tėnüün-Ėrdėnė Garamhand, il giovane attore che ha interpretato Tuntuulei, è stato tributato il riconoscimento come miglior attore al Festival del cinema di Fribourg in Svizzera.
Marco Galano