Quando Hayao Miyazaki, al festival del Cinema di Venezia, annunciò il suo ritiro, l’attenzione nei confronti di Si alza il vento raddoppiò: ci si aspettava una sorta di summa della sua opera. Eppure il soggetto, un biopic su un progettista di aerei giapponesi, sembrava andare in una direzione opposta, raccontando invece una piccola storia realmente accaduta.
Il titolo, tratto da un noto verso di Paul Valery, ci ricorda però, fin da subito, che il film non vuole essere la semplice biografia di Jiro Horikoshi, ma l’ultimo tassello di una poetica ormai matura. Il vento che si alza è certamente quello che sostiene il volo di un aereo nel cielo, ma è anche il soffio vitale che ci anima, l’irresistibile amore per la vita, lo spirito della terra. Percettibile e invisibile, il vento invade ogni fotogramma e, di conseguenza, ogni significato del film: è l’amore per una ragazza tubercolotica, è lo spaventoso terremoto di Tokyo – disegnato come fosse un attacco di spiriti malvagi -, è un cappello che vola, è, più semplicemente la Vita. Non soltanto un insieme di azioni quotidiane, di attività utili, ma quel preciso istante in cui i personaggi di Miyazaki – come ebbe a dire Roger Ebert – “si siedono per un momento, o sospirano, o guardano un fiume correre, non per far avanzare la storia, ma solo per dare il senso dello spazio e del tempo”.
Sostenere che costruire un aereo sia la progettazione di un sogno, percorrere quell’abusato parallelismo tra realtà e mondo onirico, non risulta qui affatto banale, proprio perché immesso in una poetica matura: è un inno all’umanità sognatrice, alla ricerca della bellezza. Miyazaki percorre una strada assolutamente personale, nella quale la meccanica, le valvole, i rivetti sfasati e il vapore non entrano in contraddizione con la natura, ma ne costituiscono anzi la continuazione. Le meravigliose animazioni sono perfettamente integrate con la narrazione e con la colonna sonora, composta da lieder e motivi “classici”, in un’asse che vaga tra l’Europa e il Giappone, in un circolo di continui rimandi.
Si alza il vento è infatti anche un confronto con la Storia e, soprattutto con la Seconda Guerra Mondiale: anche in questo caso Miyazaki fa proprio il racconto, penetrando fin dentro la contraddizione esistente tra costruzione di sogni e possibilità di distruzione. Gli aerei progettati da Jiro diventeranno delle micidiali macchine di morte, ma nello stesso tempo costituiscono una delle più alte realizzazioni dello spirito umano. Da pacifista ed ecologista, Miyazaki si interroga sull’ambiguo rapporto tra sogno e maledizione, tra aspirazione personale ed egoismo, tra genialità e rapacità umane. Se c’è una condanna della guerra, questa si percepisce proprio nella messa a distanza del conflitto, nel suo essere letteralmente fuori dallo schermo, eppure presente, come un macigno invisibile.
Cercando di posizionarsi al di là di quel senso di colpa che ancora oggi attanaglia il Giappone, Miyazaki, con il suo film più personale – e forse meglio riuscito – propone un volo d’angelo sulla realtà: un canto all’uomo e alla natura, all’amore e alla morte, alla bellezza e alla distruzione. Le vent se lève / il faut tenter de vivre.
Giulio Piatti