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Sotto le stelle di Parigi

Parigi, che già era stata la cornice per film incentrati sull’integrazione e il dialogo etnico-generazionale come accaduto per il celebre Quasi amici di Olivier Nakache e Éric Toledano o per Quasi nemici di Yvan Attal,fa da sfondo a questa storia commovente e delicata, una favola contemporanea, ma dagli stilemi narrativi“iperclassici”,sull’amicizia e la solidarietà.

Christine è una clochard che vive in solitudine le sue giornate tra le strade di Parigi, a farle compagnia solo l’amarezza scaturita dai ricordi del suo passato da ricercatrice e degli affetti perduti. A spezzare la routine serena ma malinconica di questa vita ai margini arriva una sera Suli, un bambino di otto anni che nel cuore della notte si presenta davanti al giaciglio di Christine. Il ragazzino non parla una sola parola di francese ed è alla ricerca di sua madre, che non riesce più a trovare, probabilmente separatasi involontariamente da lui al momento del loro arrivo in Francia. Inizialmente, l’incontro tra i due – che, per i modi bruschi di Christine, ha più il sapore dello scontro – rivela soprattutto le diffidenze e le ostilità che possono emergere tra i volti diversi di una stessa marginalità. Eppure, sarà proprio questa comune condizione esistenziale, una volta superatene le rispettive asperità, a unire i due protagonisti in un legame particolare fatto di compassione e aiuto reciproco. Saranno proprio questi ultimi sentimenti a costituire la trama fondamentale di tutta la vicenda.

In un’epoca storica in cui le misure di contenimento contro la diffusione del contagio hanno imposto una sempre maggiore distanza tra le persone, Sotto le stelle di Parigi, diretto dal regista tedesco Claus Drexel, offre un nuovo spunto, tristemente tratto da una storia vera, per riflettere, seppur attraverso la lente della delicatezza propria del cinema francese, sulle ingiustizie sociali e sulla solitudine degli emarginati.

Opera gradevole ma dal forte intento pedagogico, a tratti edificante, Sotto le stelle di Parigi, fapoggiare i personaggi e gli eventi, come note su un pentagramma, sullo scenario cangiante della ville lumière e delle sue mille sfaccettature. Quest’ambientazione, più che riecheggiare la caleidoscopica rassegna umana descritta nei Passages benjaminiani, ci mette di fronte alla realtà molto meno bohémienne e sofisticata dei senzatetto e dei migranti della metropoli francese, raccontata secondo un ritmo che, come ha scritto il critico Riccardo Baiocco, ha il grande difetto di procedere “come una sfera su un piano inclinato, costretta dalla gravità a una traiettoria inevitabile”: quella della compassione e del sentimentalismo facile.

Enrico M. Zimara

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