Il 15 gennaio 2009 un miracolo, avvenne sui cieli di New York e sulle acque del fiume Hudson: un ammaraggio, per mano del comandante Chesley Burnett Sullenberger, Sully. L’ultimo film di Clint Eastwood, anch’egli coinvolto, in gioventù, in un incidente aereo che lo costrinse a nuotare nelle gelide acque del Pacifico, è ispirato al libro di memorie di Sully e aderisce quasi in modo documentaristico (con tanto di foto e video originali sui titoli di coda e col capitano primo soccorritore Vincent Lombardi che interpreta se stesso) alla verità dei fatti. La trasposizione dell’indagine (poco nota, compiuta da una commissione d’inchiesta competente) ha ricevuto diverse critiche poiché appare tendenziosa, nel suo accanimento nei confronti dell’operato dei piloti (quasi un’eterna lotta tra buoni e cattivi). Nonostante si conosca da subito il lieto fine della storia, la tensione non manca: nelle sequenze che mostrano l’impatto con le oche del Canada che compromette i motori dell’airbus (di eventi simili, prima di allora, non si aveva notizia nella storia dell’aviazione) e le concitate fasi di gestione dell’incidente, delle operazioni di evacuazione e salvataggio. Si resta col fiato sospeso di fronte alle visioni da incubo di Sully che immagina “cosa sarebbe potuto accadere se avesse agito diversamente” nonché agli sguardi di coloro che, memori del tragico 11 settembre, vedono un aereo avvicinarsi alla città. Carica di pathos, come in un western di Leone, la carellata ottica sul viso di Tom Hanks mentre pronuncia le fatidiche parole “pronti all’impatto”.
Interamente in Imax, Eastwood realizza un film su quei 208 secondi, in maniera asciutta ed essenziale. Attraverso un montaggio efficace, offre più punti di vista, su tutti quello di Sully, reiterando anche le stesse scene (forse troppo) e facendo uso di flashback. Il fatto narrato (di forte impatto mediatico) è quasi un pretesto per parlare di fattore umano. Di lavoro che nobilita, di lavoratori impegnati e responsabili che divengono, loro malgrado, eroi (Sully che, dopo aver abbandonato per ultimo il velivolo, desidera solo accertarsi che tutti i passeggeri siano in salvo, incarna tutto questo). Della supremazia dell’uomo sulla macchina (e dello stress che i piloti hanno affrontato nel tentativo di affermarla e di difendere le scelte che, in pochi secondi, avevano dovuto fare) e dell’altruismo, che emerge nelle difficoltà, il tutto condito col noto patriottismo americano (condensato nelle frasi epilogo). Hanks – candidato mancato agli Oscar 2017 – offre una sincera e profonda interpretazione che ha ricevuto gli elogi dello stesso Sullenberger. Convincente anche Aaron Eckhart, nei panni del meno esperto co-pilota Skiles, integerrimo esempio di fedeltà verso il comandante e di lavoro di squadra. Un cameo: Eastwood compare su un cartellone pubblicitario a Times Square che lo ritrae nella locandina del suo film Gran Torino, in uscita, proprio in quei giorni, nelle sale americane.
di Loredana Iannizzi