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Tanna – Martin Butler e Bentley Dean

Tanna (Premio del Pubblico “Pietro Barzisa” 2015 e candidato agli Oscar come Miglior Film Straniero 2017) è un eccellente esempio di come il cinema, anche di finzione e non solo documentaristico, e l’antropologia, unendo le forze, possano offrire un prodotto filmico competitivo. La storia di un amore contrastato in nome del rispetto delle tradizioni. “Il matrimonio organizzato è il cuore del kastom” (banalmente, il costume tribale, quell’insieme di ideologie e pratiche che mirano a tenere vive le tradizioni locali) enuncia in lingua Nauvhal uno degli indigeni dell’isola di Tanna (arcipelago di Vanuatu, Sud Pacifico) in una scena del film. Idea e sceneggiatura, alla cui stesura ha fornito un contributo fondamentale la popolazione locale, prendono spunto da una canzone, diffusa sull’Isola, che narra di un fatto avvenuto nel 1987 che ha innescato un cambiamento culturale epocale per gli autoctoni: l’introduzione del matrimonio d’amore nel kastom. Dain e Wawa, si ribellano al destino che i capi villaggio delle tribù Yakel e Imedin hanno imposto loro con lo scopo di instaurare la pace dopo un periodo di conflitti, dando priorità al loro amore anziché alle esigenze comunitarie (esemplificativo lo scambio di battute tra Wawa “Io voglio scegliere mio marito” e sua nonna “Non si tratta di te, si tratta di tutti noi”).

Tanna è una vincente prova di coraggio per i due registi documentaristi ma soprattutto per il cast fino ad allora ignaro anche solo dell’esistenza del cinema. Oltre all’encomiabile performance degli attori improvvisati che si fanno apprezzare per la loro recitazione autentica, spontanea, naturale e commovente, ammirevole è la meravigliosa fotografia, che servendosi soltanto di luce naturale, omaggia le molteplici espressioni della natura (su tutte il vulcano, luogo sacro in cui risiede lo Spirito Madre, il cui fuoco reale è suggello del fuoco della passione amorosa dei protagonisti) e della cultura (lavoro quotidiano, riti di iniziazione, cerimonie). Suoni e rumori, silenzi e musica contribuiscono ad ipnotizzare, lo spettatore trasportandolo in un altrove affascinante, di natura incontaminata, non intaccato dal consumismo, ma fedele ad una rigida organizzazione sociale fondata su di un sistema di alleanze tribali intriso di culti ancestrali e animisti (nel film si accenna anche ai “perduti” cristiani presenti su Tanna e, indirettamente, al Movimento del Principe Filippo, marito della Regina d’Inghilterra, considerato un dio principe di cui si attende il ritorno).

I registi hanno trascorso su Tanna – dove il celebre e controverso capitano Cook sbarcò nel 1774 – sette mesi coi nativi, di fatto servendosi per la loro opera dell’osservazione partecipante, metodo fondamentale nelle ricerche etnografiche, e realizzando un film emozionante sulla forza e il coraggio dei sentimenti, sui sacrifici necessari per abbattere le resistenze e innescare il cambiamento e una speranza per il futuro, la stessa che emana dall’espressione fiduciosa della piccola Selin nell’ultimo fotogramma di Tanna, un invito all’empatia e al riconoscimento del valore dell’universale bellezza dell’umanità.

di Loredana Iannizzi

 

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