Romeo Aldea è un uomo onesto, che, per quanto circondato dagli ingranaggi della corruzione, cerca ogni giorno di condurre la propria vita lungo un sentiero di instancabile rettitudine. Romeo è medico in una provincia montana della Romania, in cui vive insieme alla moglie e alla sua adorata figlia Eliza. Romeo è un padre premuroso e presente tanto da ricordare il Goriot di Balzac, con tutte le sue debolezze. Vittima della storia come tutti gli appartenenti alla generazione postcomunista, decide di continuare a sperare in un futuro migliore, investendo in quell’unica figlia i sogni che un ambiente corrotto come quello rumeno non possono garantirle. Eliza, all’alba del suo esame di licenza di scuola superiore secondaria, il bacalaureat del titolo originale, ha tutte le carte in regola per vincere la borsa di studio necessaria a volare verso Cambridge, un mondo migliore. Eppure, un evento drammatico colpisce la stabilità di questo disegno già scritto: la mattina prima degli scritti, Eliza viene brutalmente aggredita. L’accaduto turba la giovane donna, che rischia di mandare all’aria le sue brillanti prospettive presso l’università inglese. Romeo ne è altrettanto sconvolto, al punto che, preoccupato per l’avvenire della figlia, decide di mettere da parte la morale e cedere alla raccomandazione, il sistema da cui per tutta la vita ha continuamente messo in guardia la stessa Eliza. Il Romeo così impeccabile sul piano etico e sociale annienta tutte le difese erette contro il compromesso, mostrando così tutte le proprie contraddizioni.
Come in Oltre le colline, il regista si interroga sulla natura delle scelte e delle conseguenze che esse comportano, ponendo al centro del discorso filmico la tematica genitoriale. Essere genitore – dice Mungiu – significa prima di tutto essere cittadino; si può essere un uomo retto all’interno delle proprie mura domestiche, ma si è pur sempre chiamati a confrontarsi con le imperfezioni della società cui si consegnano i propri figli. In questa epica famigliare le colpe dei padri, ancora una volta, sembrano ricadere sulle spalle dei figli, non solo per via del fallimento di una generazione che non ha saputo riordinare le dinamiche del vivere comune, ma anche e soprattutto per la ricerca di una perfezione assoluta, incompatibile con il genere umano.
Questa continua tensione, che rimanda al ritmo perfetto delle riprese hitchcockiane, viene restituita allo spettatore grazie all’impiego di movimenti fluidi e asciutti, che seguono i protagonisti senza l’utilizzo del primissimo piano e del campo lungo, e all’inserimento dei dialoghi all’interno di piani sequenza, in un equilibrio visivo che è la cifra stilistica del regista, il quale cerca così di non esprimere mai il proprio giudizio sulle vicende narrate. L’opera, il cui inizio rinvia all’ultima scena de Oltre le colline, dove un elemento esterno irrompe dal fuoricampo per turbare la quiete degli elementi ripresi in campo, rammenta allo spettatore l’instabilità di ogni equilibrio, l’inesattezza di ogni principio morale costituito. Con questo film, Cristian Mungiu si riconferma l’esponente di una nuova generazione di registi che guardano al cinema di Lucian Pintilie, ma con occhi più liberi e coraggiosi.
di Valeria De Bacco