La storia di un’epoca, la realtà di un luogo, la vita di una donna: questo ci propone l’ultimo adattamento cinematografico del celebre romanzo Far from the madding crowd del 1874, opera dello scrittore inglese Thomas Hardy. Il cuore pulsante del film è la protagonista, l’intraprendente e testarda Bathsheba Everdene (Carey Mulligan): alla sua vita si intrecciano quelle di tre uomini innamorati, molto diversi tra loro (Gabriel Oak, semplice e fedele, William Boldwood, timido e riservato, Frank Troy, ammaliante e prepotente). Questi contribuiscono a mostrare e fare emergere i molteplici aspetti della personalità e del carattere della donna, a volte in contraddizione tra loro, costringendola a mettersi continuamente in discussione. Bathsheba – che nel giro di una notte si ritrova ad essere (in seguito ad un fatale “mutamento delle fortune”) da ragazza di campagna a padrona della fattoria di famiglia che intende riportare agli splendori di un tempo – ha nello sguardo la fierezza, il coraggio e la determinazione di chi pare essere disposto a compiere importanti rinunce pur di difendere la propria autonomia e indipendenza, finanziaria e individuale. Bathsheba si discosta dalla tipica figura femminile della campagna del Wessex inglese di fine Ottocento, tanto cara ad Hardy. E’ un esempio di emancipazione che intende vantare – si pensi alla scena della vendita dei semi al mercato – diritti pari agli uomini (questo spirito libertino richiama alla mente quello di Maud Watts, attivista del movimento fondato da Emmeline Pankhurst nel film Suffragette, appena uscito in Italia, sempre interpretato da Carey Mulligan). Bathsheba, alla quale “piacerebbe molto essere una sposa se non implicasse prendere marito”, non riuscirà a non cedere ai frivoli impulsi di giovane donna che seduce e finge di non saperlo, e tantomeno a non lasciarsi travolgere dalla passione quando incontrerà “un uomo in grado di domarla” provocandole “un mutamento del cuore”.
La ciclicità della natura scandisce e influenza le vite dei personaggi e lo stesso fa il lavoro, all’interno della fattoria e del mondo rurale in generale, mostrandone la tipica divisione in classi sociali dell’Inghilterra vittoriana.
Il film è un classico, ma anche moderno, del romanticismo, e forse per certi versi un po’ scontato. La dolcezza delle musiche dei violini è costante e l’espressività e la bellezza della fotografia, marcatamente paesaggistica e che predilige i campi lunghi, sono di grande supporto alla sceneggiatura. Gli amanti delle trasposizioni dei grandi romanzi inglesi settecenteschi e ottocenteschi, nonché dei film in costume in generale (seppur qui non eccessivamente sfarzosi), non resteranno delusi. Il film scorre piacevolmente, con un ritmo più sostenuto nella seconda parte, con gli eventi che si susseguono e che mettono sempre più in evidenza la fragilità di una donna che, nonostante tutto e soprattutto nonostante le premesse, impara ad accogliere e lasciarsi trasportare dalle emozioni e dall’amore.
di Loredana Iannizzi